Per la mente, con il cuore: intervista a Maria Carmela Marcoli di Progetto Itaca Torino

Il gruppo di Progetto Itaca Torino posa in una foto tutti insieme nella propria sede principale
Il gruppo di Progetto Itaca Torino

Tutto ha avuto inizio a Milano, nel 1999: un piccolo seme piantato in un terreno fertile, quello dell’ascolto e della cura delle persone con disabilità psichica, ha dato vita a Progetto Itaca. Da lì, come accade con le idee che funzionano, il desiderio di crescere si è fatto strada: prima Roma, poi Firenze e Palermo, tra il 2005 e il 2006. Nel 2012, la nascita della Fondazione Itaca ha segnato un nuovo passo: unire le diverse realtà locali sotto un’unica rete, coordinandole come un grande arcipelago, dove ogni isola mantiene la propria identità ma condivide risorse, servizi e visione.

Nel 2018, sull’onda di un bisogno sempre più pressante (con richieste di aiuto da ogni parte d’Italia, intercettate anche grazie al numero verde nazionale), si è deciso di fondare Progetto Itaca Torino. E qui, in un territorio ricco di energie ma segnato da fragilità, è stata in grado di costruire ponti: con le ASL, con gli ospedali, con le scuole e con il mondo del Terzo Settore facendo nascere nuovi progetti, come quello di prevenzione tra i banchi di scuola raggiungendo ogni anno oltre duemila ragazzi; nel 2024, poiché l’età dell’insorgenza dei primi sintomi si è abbassata, è stato avviato in via sperimentale il Progetto Scuole anche alle scuole medie e non più solo nelle classi terze delle scuole superiori.

Progetto Itaca Torino ha anche una linea d’ascolto telefonica attiva nei pomeriggi del martedì, mercoledì e giovedì per provare ad arginare l’isolamento e il disagio offrendo ascolto, anche silenzioso, alle persone che a lei si rivolgono. Accanto all’ascolto, però, ha portato anche un’altra promessa: quella di un futuro possibile. Grazie al Progetto Job Station, avviato a Milano nel 2012 e arrivato a Torino nel 2022 con la collaborazione della Fondazione Progetto Itaca Torino e della Fondazione Italiana Accenture, ragazzi fragili ma pieni di talento hanno non solo trovato un lavoro, ma anche una ragione di vita. Dal giugno 2022, otto giovani hanno intrapreso un cammino professionale concreto con varie tipologie di contratti: a tempo indeterminato, apprendistato e collaborazioni. Un seme che continua a germogliare.

Alla guida di questo viaggio c’è l’architetto Giorgio Rosental, presidente appassionato, operativo e presente; con la convinzione che è diventata la cifra di Itaca: laddove si apre uno spiraglio, Progetto Itaca Torino si dona, pronta a trasformarlo in una porta verso il futuro. Insieme a lui e a tantissime altre persone c’è Maria Carmela Marcoli, Direttrice del Club Itaca Torino, spazio diurno non sanitario ispirato al modello internazionale “Clubhouse” che favorisce lo sviluppo dell’autonomia socio-lavorativa attraverso attività collaborative gestite da soci e staff: ecco la sua intervista.

Partiamo, come al solito, dalla domanda dell’intervistato precedente. Daniele Conti di SynDiag le vorrebbe chiedere: la sua attività imprenditoriale ha un profondo impatto sociale e si fonda sul rapporto di fiducia tra persone. Quanto è importante per lei? Quanto è possibile distinguere e gestire separatamente il lato professionale da quello personale del suo lavoro?

La fiducia è fondamentale: puntiamo molto sulla sincerità e sull’autenticità perché aiutano a costruirla. Per esempio, mangiando tutti insieme a tavola, abbiamo l’abitudine di condividere esperienze quotidiane su argomenti comuni. In questo modo la fiducia cresce: loro imparano a fidarsi di noi, noi li conosciamo. Questo conoscersi è fondamentale senza questo clima e questo riconoscimento reciproco Progetto Itaca non potrebbe funzionare.

Di cosa si occupa Club Itaca Torino nello specifico?

Il Club Itaca Torino è una vera e propria palestra di vita. Qui si allenano i “muscoli” delle relazioni: si impara a gestire il confronto, a esprimersi, a immaginare un futuro basato su obiettivi concreti. Attraverso corsi di orientamento e percorsi di riabilitazione autentici, accompagniamo le persone a riscoprire capacità e competenze applicabili alla realtà. Lavoriamo anche contro lo stigma attraverso progetti nelle scuole e con iniziative come il Club Itaca (18-50 anni) e Job Station per il mondo del lavoro. Offriamo anche formazione continua ai volontari sulle tematiche della salute mentale, ai familiari e in generale ai caregivers.

Qual è stata l’ispirazione dietro la fondazione di Progetto Itaca e quali sono stati i principali ostacoli che ha affrontato?

L’ispirazione nasce dai gruppi di genitori e di pazienti che, insoddisfatti dei servizi disponibili negli anni ’90 in Italia, hanno importato modelli innovativi dagli Stati Uniti con l’obiettivo di creare un servizio complementare e nuovo rispetto a quello pubblico. La difficoltà principale qui a Torino? Quella di far nascere una realtà nuova in una città già fortemente strutturata sul tema della salute mentale.

In che misura l’innovazione tecnologica gioca un ruolo fondamentale nel progetto e quali strumenti digitali sono stati integrati per raggiungere i vostri scopi?

Utilizziamo computer e social network e stiamo iniziando ad avvicinarci all’intelligenza artificiale, ad esempio per la scrittura di testi. Questo è fondamentale, dato che abbiamo uno staff ridotto e dobbiamo seguire persone che richiedono attenzione. A volte, però, mancano tempo e risorse per implementare appieno strumenti come i tool di project management.

Come immagina lo sviluppo sostenibile del progetto nei prossimi anni, sia dal punto di vista sociale che economico?

Dobbiamo costruire un modello di business sostenibile, altrimenti il progetto annaspa e va rimodulato. I costi principali sono quelli legati al personale e alla struttura: con circa 20 ragazzi fissi più altri 10 lavoratori, servono almeno 200mila euro all’anno. Quest’anno abbiamo organizzato quattro eventi di raccolta fondi, ottenendo 12mila euro. Stiamo lavorando anche al riconoscimento della personalità giuridica, per aumentare la stabilità e affidabilità dell’ente.

In che modo il progetto intende coinvolgere e supportare la comunità locale, e quali strumenti sono messi in campo per favorire questa partecipazione?

Restiamo aperti al nostro target, composto da persone con disturbi psichiatrici e dai loro familiari, ma siamo anche aperti e inclusivi verso tutta la comunità. La Festa di Natale, ad esempio, è un momento di apertura verso finanziatori, volontari e istituzioni; facciamo parte anche di reti come quella di Réseau Entreprendre Piemonte, di Torino Social Impact e BeeOzanam, per non essere un’isola ma parte attiva di una comunità viva.

Potrebbe condividere con noi qualche esempio concreto o storia di successo che dimostri l’impatto positivo di Progetto Itaca sul territorio?

Uno dei primi soci del Club è stato assunto a tempo indeterminato da una grande e importante azienda del territorio: un vero traguardo! Un altro esempio è una ragazza che, da una situazione di passività e difficoltà nella gestione del tempo libero, è passata a una partecipazione attiva, diventando la vera protagonista della cucina.

Nella sua vita, personale e lavorativa, ha avuto un mentore o un’altra fonte di ispirazione?

Ho sempre amato le biografie, sono cresciuta ammirando figure come Rossella O’Hara di Via col Vento e Isabella d’Este, protagonista di Rinascimento privato di Maria Bellonci. La frase “Dopotutto, domani è un altro giorno” mi ha sempre guidato: da figlia di imprenditori, ho interiorizzato presto il concetto di rimboccarsi le maniche fin da subito senza aspettare che siano gli altri a risolverti i problemi.

Come definirebbe il concetto di imprenditorialità sociale e in che modo Progetto Itaca lo integra nel proprio modello di azione?

Il progetto Job Stations è un esempio perfetto perché, oltre ad allenare le aziende ad avere sensibilità nelle relazioni e a formare dipendenti in grado di lavorare con persone fragili, trasmettiamo competenze concrete e trasversali unendo capacità operative – come l’utilizzo di programmi di gestione contabile – a quelle relazionali. A questo meccanismo virtuoso si aggiunge un ulteriore valore aggiunto: la replicabilità del modello.

Quali metodi e strategie imprenditoriali ha adottato per innovare e migliorare i processi organizzativi all’interno del progetto?

Prima di tutto chiedersi sempre il perché delle cose e come si possano migliorare e come renderle distinguibili, uniche. Abbiamo lavorato molto sul posizionamento rispetto ai competitor e sulla mappatura dei percorsi di vita dei nostri ragazzi. Gestire il Club Itaca Torino e la Job Stations significa adottare un approccio sistemico: non vediamo solo la persona, ma anche tutto il contesto di cui fa parte. Il tutto visto in un’ottica di economicità, con risparmio e ottimizzazione delle risorse come dimostrato dalla collaborazione portata avanti, per esempio con il Banco Alimentare.

In che modo la mentalità imprenditoriale di Progetto Itaca affronta il rischio e l’incertezza, soprattutto in un contesto sociale dinamico e in continua evoluzione?

Prevedendoli: anche grazie anche al coaching e al mentoring ci alleniamo a riconoscere gli ostacoli e a sviluppare le strategie migliori per affrontarli, usando strumenti quantitativi e qualitativi e formulando ipotesi di rischio e strategie per farvi fronte.

Quali elementi ritiene fondamentali per promuovere una cultura interna che valorizzi il cambiamento, l’apprendimento continuo e l’innovazione, per rispondere efficacemente alle sfide del territorio?

Soprattutto la condivisione, puntando sempre sull’inclusione, apertura e integrazione. Una delle nostre strategie, con chiunque si stia avvicinando per la prima volta a Progetto Itaca Torino, è quella di invitarlo a pranzo per conoscere da vicino i nostri ragazzi: in questo modo si ha la possibilità di comprendere a fondo le loro potenzialità, le loro aspirazioni e il loro valore.

Qual è il valore di Réseau Entreprendre che più la rappresenta?

L’opportunità, perché così come Réseau dà opportunità alle startup, noi diamo opportunità di miglioramento della vita ai nostri ragazzi.

Perché un imprenditore dovrebbe entrare in Réseau?

Perché è estremamente gratificante e stimolante. Trasmettere competenze aiuta i giovani e, allo stesso tempo, loro aiutano a mantenerti radicato nella realtà, portando idee innovative che ti fanno guardare il mondo con occhi diversi, spingendoti a migliorare. È anche uno dei motivi per cui aderiamo sempre al progetto Collective Projects.

Come membro di REP, che consiglio si sentirebbe di dare ad un giovane imprenditore che vuole avviare una startup nel settore socio-sanitario?

Parlare il più possibile con tutti. La frase “da cosa nasce cosa” è verissima: la competenza genera altra competenza e, da lì, nascono idee creative.

Qual è il suo sogno personale per il futuro?

Trovare un lascito testamentario, o una donazione in generale, che garantisca almeno 200mila euro annui di interessi, per rendere il servizio autonomo nel mantenersi, estenderlo 5 giorni su 7 e portare i nostri ragazzi in vacanza almeno una volta all’anno.

Nella prossima intervista parleremo con Tiziana Varetto di Cad One? Cosa le vorrebbe chiedere?

Come prevedono di integrare o implementare l’attenzione all’ambiente nel loro business, considerando il costo delle materie prime, l’intelligenza artificiale e la sostenibilità?